Appunti su formazione e dispersione delle tracce di officina litica prodotte da artigiani delle
pietre focaie fra il XVIII e gli inizi del XX secolo in Lessinia (Verona).
NB:La selce é la miglior pietra focaia (altre succedanee sono quarzi, quarziti, piriti, marcasiti). Un articolo divulgativo veronese: http://www.veja.it/2009/12/03/la-pietra-focaia-e-l%E2%80%99accensione-del-fuoco/ Per trarre scintille sufficientemente calde bisogna usare una pietra focaia più dura dell'acciaio (dell'acciarino) in modo che strappi micro-trucioli d'acciaio che per l'attrito si incendiano. Tienimi informato su eventuali scritti divulgativi.
Riassunto
In meno di un secolo, un’evoluzione “rapida” e (negli ultimi 40 anni) consumistica ha sepolto l’almeno bimillenaria memoria dei gesti quotidiani accensivi (e conservativi) del fuoco. Le tracce dei relativi manufatti vanno ricercate sugli originari territori produttivi, evidenziandone tempi e modalità di stratificazione ma anche i fenomeni di dispersione delle tracce connesse al mutare della condizione agro-pastorale del territorio. Un aspetto centrale delle tecniche accensive fra il XVIII e il XX secolo è stato l’artigianato delle pietre focaie (p.f.), specializzatosi a partire dall’invenzione e diffusione (XVII-XIX secolo) delle armi da fuoco ad acciarino meccanico (dette anche “alla moderna”). Particolare considerazione viene svolta per le tracce di officina litica da p.f. della Lessinia (Verona) ed alla dicotomia esistente, fino al XIX secolo, fra gli scarti di lavorazione e i prodotti finiti: comuni questi ultimi nei mercati europei e sconosciuti, i primi, al di fuori delle ristrette aree di produzione, al punto da alimentare numerosi casi di interpretazione preistorica di manufatti litici del XVIII-XIX secolo. Le considerazioni svolte si basano su 3 decenni di ricerche di superficie, nonché sui risultati di uno scavo archeologico e di un esteso survey condotti (1996-1998) dal prof. J.N.Woodall dellaWest Forest University. Inoltre, vengono sintetizzate recenti annotazioni toponomastiche, sul medesimo territorio per evidenziare le profonde connessioni socio-ambientali di un artigianato che, ad oggi, sembra quasi privo di riscontri archivistici o etnografici (diversamente dalle corrispondenti industrie francesi ed inglesi). Si sollecitano, infine, confronti sul tema, sia come dispersione dei prodotti finiti che come possibile esistenza di altri artigianati, equivalenti e coevi, in territori italiani naturalmente ricchi di selce o di altre rocce silicee adatte a produrre scintillazione accensiva.
PAROLE CHIAVE: fuoco, accensione, litica, tecniche, usi, memoria, Monti Lessini (Italia).
Confusioni di nomi e di tecnologie
L’ultimo secolo di storia delle pietre focaie veronesi è un misto di rapido oblio documentale e sociale, ma anche un buon esempio di come anche in archeologia la superficialità possa portare fuori strada. Alcuni esempi:
- fin dalla fine degli anni ’70 mi è capitato più volte di osservare, esposte in musei come in collezioni private,
pietre focaie (p.f.) storiche esposte come “selci” preistoriche. Eppure sia dalla loro forma che dalle usure tipiche (Fig. 1) le p.f. sono ben riconoscibili e, per giunta sono state in uso comune, specie in aree non urbane, almeno fino agli inizi del XX secolo, quando fiammiferi industriali a sfregamento e i primi accendini a “pietrina” (un impasto artificiale di ferro e cerio, tuttora venduto con questo nome improprio) soppiantarono progressivamente l’uso delle p.f. di selce e dei relativi strumenti d’acciaio, detti appunto acciarini. Ciononostante, specie in ambito archeologico (professionale e non) tuttora ci si riferisce alle p.f.
storiche come “acciarini”. E per giunta qualche anziano della montagna veronese definiva un acciarino metallico (di cui ha avuto probabilmente solo memoria orale) come “la lesca”. Del resto, degli stessi fabbri di contrada ben noti fino al XIX secolo per produrre pregiati acciarini (come gli Anderloni di Camposilvano/Velo) si ricorda ben poco anche localmente.
- tale fenomeno risulta ancor più stupefacente se lo si collega alla storia delle cosiddette “selci strane di Breonio” (Fig. 2), un vasto gruppo di falsi litici prodotti alla fine del XIX secolo da alcuni montanari veronesi e interpretati come manufatti preistorici (e come tali comperati) da molti archeologi e turisti almeno fino al 1905. Gli artefici di questi rozzi manufatti silicei erano coinvolti nella tradizione dei folendàri, gli artigiani delle p.f. veronesi che almeno dal XVIII secolo fin quasi agli inizi del XX produssero decine di milioni di p.f. geometricamente tagliate, cospargendo la Lessinia di una infinità di scarti di lavorazione: la forma genericamente laminare (Fig. 3), ben nota ai produttori, era del tutto sconosciuta già agli utenti del mercato cittadino, e questo ne causò la frequente confusione con manufatti tardopreistorici.
Eppure, già nel 1886 l’archeologo Paolo Orsi evidenziava che “esemplari di selci moderne (cioè p.f.), provenienti dal veronese” erano ancora in vendita “presso negozianti di Bolzano... ad uso di acciarini”, precisando che le aree di produzione erano “Cerro nel Distretto di Verona, e San Mauro di Saline in quel di Tregnago” dove “veggonsi tuttora monticelli di schegge e rifiuti accumulati da anni ed anni”. Precisava inoltre che “al tempo delle guerre napoleoniche la sola ditta L. Boldrini esportava da Verona 100 barili al giorno di pietre da fucile, contenenti ognuno 20.000 pezzi. Colla invenzione...dei fiammiferi per uso domestico o delle capsule...fulminanti per i fucili, l’industria delle selci da acciarino anche nel Veronese andò man mano scemando, per modo che circa l’anno 1835, di pietre da fucile si spedirono solo in Dalmazia e nel Levante, e di quelle da acciarino nelle città marittime, nell’alto Tirolo e nella Baviera.
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